Quattro chiacchiere con...
Marcello Cominetti
Hai voglia di presentarti a tutti noi?
Sono nato nel 1961 e da quando avevo 12 anni mi ha preso la passione per scalare le montagne, tanto che da quando ho 23 anni vivo del mestiere di Guida Alpina. Sono e resto un alpinista e quando ho un po’ di tempo libero lo dedico alla montagna in ogni suo aspetto a seconda della stagione. Arrampicare, sciare e scalare montagne in giro per il mondo resta sempre la mia passione, cosa che cerco di trasmettere anche ai miei clienti quando faccio la guida. Vivo in una valle delle Dolomiti tra Sella, Marmolada e Civetta nella casa che mi sono costruito con le mie mani, ristrutturando un vecchio fienile, in un luogo isolato ma circondato da una natura straordinaria e ancora autentica. Mia moglie e i nostri figli sono la cosa più bella e importante… Ma anche le montagne tutt’intorno non scherzano!
Ci dici quali sono la tua più grande qualità ed il tuo più grande difetto?
Non ho di certo un carattere facile, sono un testone e ho la pretesa che quando qualcuno paga per essere guidato in montagna da me, alla fine della giornata dev’essere una persona migliore. Deve avere imparato qualcosa che gli sia utile anche nella vita di tutti i giorni. Non mi piace portare a spasso le persone come fossero oggetti.
Io vivo di ciò che le persone mi danno e il privilegio di potere vivere di ciò che più amo ha per me un grande valore che devo ricambiare ogni volta. Credo di essere una persona semplice, difficile, diretta e leale. Scegliete voi quali sono i pregi e quali i difetti.
Qual è stato il momento più buio della tua carriera?
Quando un enorme masso di roccia aveva deciso di cadere dalla parete su cui arrampicavo con mia moglie proprio sulle nostre teste. Ho avuto il tempo di capire che non c’era nulla da fare ed è stato orribile. Ma il masso (grande come un furgone di un corriere espresso, più o meno) pochi metri sopra di noi ha toccato la parete disintegrandosi in tanti sassi più o meno grandi che ci hanno colpito di striscio. Siano finiti in ospedale ma siamo sopravvissuti. Per almeno un anno ho avuto incubi.
Quale è stato il momento più brillante della tua carriera?
Nel 1992 ho guidato un alpinista sul Fitz Roy in Patagonia. Era la prima volta al mondo che una guida portava un cliente su una montagna tanto difficile. Ma nel 2014 sono riuscito a fare la stessa cosa sul Cerro Torre, sempre da quelle parti. Considero il momento più brillante l’insieme di queste due “prestazioni”
Quale è stato il momento più divertente della tua carriera?
Nel 2000 con un amico e collega bolognese, Lorenzo Nadali, abbiamo attraversato tutta la Patagonia dall’oceano Pacifico all’Atlantico in canoa, a piedi e in sci. Nonostante la durezza climatica di quei due mesi trascorsi nel nulla, sempre bagnati e senza mezzi di comunicazione, ho riso così tanto che alla sera ci addormentavamo con i crampi allo stomaco dalle risate. Non mi sono mai divertito così tanto godendo di tanta meraviglia naturale. Ripartirei domattina! Magari nel senso inverso.
Quali sono i consigli che daresti ad un giovane che intende seguire i tuoi passi sotto il punto di vista della tua carriera sportiva?
L’alpinismo per me non è uno sport ma una filosofia di vita. Dello sport ha solo il doversi allenare duramente e con costanza, ma nessuno ti da medaglie e forse neppure le vorrei. Si corrono rischi a volte e tutta la tua vita è improntata alla fatica fisica e mentale. In cambio si arriva a vivere esperienze totalizzanti sia dal punto di vista umano che morale e fisico durante le quali la meta è arrivare vivi a casa o alla tenda. Non ci sono stadi, pubblico né traguardi. Ecco, se un giovane accetta tutto questo è già a buon punto. E sarà un alpinista per sempre.
Spostiamo le lancette dell'orologio in avanti di 10 anni: chi sarai? Cosa starai facendo? In che veste ti immagini?
Mi vedo come oggi, con l’adeguato adattamento anagrafico, a fare le stesse cose in montagna perché mi piacciono con l’aggiunta del fare di più anche il musicista di strada, cosa che faccio saltuariamente. In fondo ho sempre avuto un animo rock’n roll.
Ti và di condividere con noi il tuo più grande sogno a livello sportivo e a livello personale?
Mi piacerebbe attraversare tutte le Ande meridionali con un amico musicista e alpinista scalando montagne e suonando la sera nei posti più sperduti e improbabili che si incontrano ai piedi della cordillera. Ce n’è uno in particolare che si chiama Bajo Caracoles, è poco più di una stazione di servizio. Ecco, mi immagino la gente che viene dai dintorni desolati a sentire noi che suoniamo Battisti, Crosby Stills Nash & Young, De Andrè e i Pink Floyd, mentre ballano e bevono birra. Tempo da dedicarci almeno un anno. Ci penso da decenni.
Quale è il tuo articolo preferito di Salice? Ci spieghi il perché di questa preferenza?
Sin da quando ero bambino, ho il ricordo di una mascherina Salice da sci gialla. Quando, grazie a un’amica olimpionica già testimonial Salice, sono stato contattato per indossare i vostri occhiali si è realizzato un sogno. Sono fiero di utilizzare un prodotto italiano per scalare, sciare, correre, andare in bicicletta e da portare tutti i giorni, mentre guido la macchina, suono la chitarra in giardino o mi addormento sull’amaca al sole. Ho portato occhiali e maschere nelle condizioni più pesanti di illuminazione sui ghiacciai patagonici sotto al buco nell’ozono dove il sole è dieci volte più forte che nel resto del pianeta, nelle bufere alpine, himalayane e andine e non mi hanno mai tradito. I miei occhi sono grati a Salice perché se vivi costantemente all’aria aperta ti serve una protezione efficace al 100%. Non ho un modello preferito perché trovo validi tutti quelli che ho utilizzato avendoli scelti azzeccando modello e lenti. Sarò stato fortunato, ma la fortuna si può aiutare e Salice mi da un aiuto insostituibile. Grazie!